- Teatro Nido dell’Aquila
- Giovedì 2 Settembre – Ore 19:00
- Ingresso Gratuito con prenotazione obbligatoria
- con tecnologia eventbrite
Non so perché ho raccontato questa storia.
Avrei potuto benissimo raccontarne un’altra.
Anime vive, vedrete come si assomigliano tutte
Samuel Beckett, Lo sfrattato
Acqua viva: provando a cogliere la quarta dimensione che da quanto è fuggevole già non è più è il flusso di coscienza estremo tratto dal racconto della scrittrice ucraina naturalizzata brasiliana Clarice Lispector. Acqua viva è una lettera d’amore alla vita e alla scrittura; è una confessione e una promessa: “Ti scrivo perché non mi comprendo. Ma continuo a seguirmi”.
Sono le tre di notte. È fine estate. In una camera “fosforescente di silenzio”, con una finestra e una tenda strappata, entra la luce della luna piena e una donna “caleidoscopica”, una pittrice, entra in un flusso di coscienza: sogni, ricordi e ombrelli aperti, le piccole persone care a Clarice, cani e gatti, quello che c’è ma che non si vede: “La cosa che più mi emoziona è che ciò che non vedo esiste lo stesso. Perché così ho ai miei piedi tutto un mondo sconosciuto che esiste pieno e denso e ricco di saliva”.
Questo fiume in piena di parole è la possibilità di dar voce al corpo o di parlare attraverso di esso. Acqua viva è una corrente: “Ti scrivo in disordine, lo so bene. Ma è come vivo. Lavoro solo con oggetti smarriti e ritrovati”. Clarice, di fronte a un potere che reprime ogni libertà di parlare in difesa degli oppressi, si sposta, o meglio, nella bella definizione di Roland Barthes , “se déplace ”, si pone “là dove non è attesa”. E questo luogo inaspettato è costituito, dalla scrittura come esilio e come testimonianza: una lingua che sembra inventare continuamente se stessa in un assolo ammaliante e incantato. È questo, di fatto, il compito penoso della letteratura in tempi di repressione: l’obbligo di “costruire tutta una voce” per dare corpo e significato – nello straniamento e nella negazione di sé – alla mutezza degli esclusi, di coloro che non hanno accesso al linguaggio. Con la speciale grazia del suo spirito indisciplinato, la scrittrice intreccia riflessione morale e finezza letteraria e, per farlo, si serve di uno sguardo che sa entrare nell’intimità delle persone, togliendo con impudicizia le incrostazioni, smascherando l’aspetto convenzionale della vita per arrivare all’origine dell’istinto vitale.
Clarice scrive “Voglio avere la libertà di dire cose senza nesso”. La protagonista di Acqua viva si interroga incessantemente sulle possibilità del linguaggio. Ammette di non sapere cosa sta scrivendo, scrive di essere oscura a se stessa, dichiara che quello che può venir fuori dai suoi pensieri sarà imprevedibile, forse spaventoso. La voce si spezza e di disperde in mille angoli per evidenziare l’esperienza stessa della parola e il tramonto di ogni sua capacità comunicativa. Siamo, di fatto, obbligati ad ascoltare questo andamento fluido e ondeggiante del linguaggio che tenta di porsi come deriva, come se non esistesse più la possibilità di una salvezza all’interno dell’esistenza ma solo sul suo margine esterno.
“Non voglio avere la limitazione terribile di chi vive soltanto di quanto può avere senso. Io no: io voglio una verità inventata.”
- Debutto Nazionale
- Liberamente ispirato a Clarice Lispector
- Di e con Elena Arvigo
- Allestimento scenico Elena Arvigo
- Disegno luci Daria Grispino
- Produzione SantaRita & Jack Teatro e Atlantide 2.0.2.1.
Lo spettacolo è nato nell’ambito della ricerca artistica di Atlantide 2.0.2.1., luogo indipendente, contenitore di progetti artistici