Una mattinata d’incontro atipico, quella di oggi al Todi Off, dove l’appuntamento ormai fisso fra gli artisti esibitisi la sera precedente, il critico che ne ha proposto la visione e il pubblico ha preso una china del tutto inaspettata. Del resto, un po’ era prevedibile…
Come avrebbe potuto essere diversamente, quando la compagnia – in questo caso l’ardito duo Matteo Angius/Riccardo Festa, il primo visto spesso nell’ Accademia degli Artefatti, il secondo, fra l’altro, in solide produzioni di teatro più tradizionale – viene precipitosamente richiamata altrove da un impegno di lavoro e il critico è un onnivoro del calibro di Andrea Porcheddu, fresco fresco da cavalcate on air per la storica trasmissione di radio 3 “Pantagruel”? Non si è scomposto, Porcheddu; e, dopo aver risposto alla domanda di rito di Stefania Minciullo – “Perché hai scelto proprio questo spettacolo?” -, naturalemente si è lasciato accompagnare dalle suggestioni di Elena Bucci, Sergio Lo Gatto, Alessandro Toppi e i ragazzi della masterclass, domandole o rilanciandole, a seconda dei casi, spostando la discussione da un momento d’incontro/confronto più squisitamente artistico a uno più spontaneamente “politico”, nell’accezione più alta, civica, partecipativa e a-partitica del termine.
Già le ragioni della scelta portavano in quella direzione. Oltre all’elemento comprensibilmente soggettivo, emozionale e di gusto, il critico, infatti, ha immediatamente escusso una ragione di ordine economico. Chiedere a una compagnia di Roma, non è come chiedere di spostarsi ad artisti che avressero dovuto sostenere un viaggio più lungo; chiedere a un duo è altro che articolare una proposta a un gruppo di attori più numeroso; pensare a uno spettacolo significa anche saperne valutare la ricaduta economica dei costi di distribuzione, in base all’apparato tecnico, all’arredo scenico o al numero di maestranze coinvolte.
Ne ha fatta una questione di rispetto (del lavoro e della professionalità degli artisti), anzi tutto.
Terza e ultima ragione, poi, è consistita nella capacità di questo spettacolo di smontare la macchina. Mostrare al pubblco quello che può succedere dietro alle quinte, quali le dinamiche relazionali e le modalità di scrittura – per accumulo, a volte, anche di materiale biografico -; la pratica dell’improvvisazione, il gusto leggero dell’ironia e della comicità, in una modalità alla stand up commedy, forse ancora poco sentita da un teatro come il nostro, che più spesso si fregia di drammaturgie seriose, cavalcando tematiche topiche, a seconda della stagione. Ecco tutto questo, pure, è gli è parso un valore aggiunto nel cercare il cortocircuito con spettatori probabilmente poco avvezzi a frequentare le sale-prova o ad assistere al privilegio del processo creativo.
Lo spettacolo di ieri, ricordiamolo, s’intitolava “O della nostalgia” e il duo Angius/Festa, giocando all’interno di uno spazio così vuoto da risultare quasi agorafobico, evocativamente nostalgico, appunto, quanto solo quello di una stazione radio può essere, e in qualche modo disturbante, col l’incombere del suo count down a cifre rosse digitali – provavano a riattivare i meccanismi colletivi di una memoria patrimonio comune. Ecco, questo è, al di là di tutto, il nodo cruciale: il teatro come luogo dell’incontro, della condivisione e della socializzazione; uno dei pochi, che, anziché alzare muri e ricacciare il diverso con gli idranti, sa assumersi l’onere del confronto, dell’inclusione e del riconoscimento dell’altro. Fino a ché quell’io, soggetto potenzialmente strapotente sulle assi del palcoscenico, sappia declinarsi in quel noi, che è soggetto reale non solo di una memoria condivisa, ma di qualsiasi altro processo capace di superare ogni antagonismo dialettico. E’ curioso – lo faceva notare lo stesso Sergio Lo Gatto – come tematiche del tutto analoghe fossero affrontate, ieri sera, anche dallo spettacolo del Todi Festival ufficiale “Insulti al pubblico”, di e con Chiara Caselli: non di meno, anche quello cercava di smontare il giocattolo, mostrando quanta più finzione ci fosse nell’azione ritualizzata del pubblico di recarsi a teatro e, per converso, quanta maggior contiguità, fra chi siede in sala e chi impersona presunte finzioni sul palco. E anche qui: ha ancora senso il dualismo teatro on/teatro off? Sorta di ideologica antitesi noi–loro, faceva notare Porcheddu, anziché richiamarci tutti alla questione forte del senso, della responsabilità dell’intellettuale e del lascito che abbiamo ricevuto – e di quello che ci accingiamo a dare alle nuove generazioni -, rischia invece di vederci soccombere in una guerra fra poveri “E la povertà genera violenza, paura, chiusura… Neo bracciantesimo”, ha chiosato. Gli ha fatto eco Elena Bucci, che, a proposito dell’auspicato ingresso in un sistema teatrale unico, ignaro dello iato in qualche modo giudicante fra teatro on e teatro off, ha però messo in guardia dal rischio di un clientelismo più o meno privilegiato da condizioni economiche più gratificanti. Era inevitabile che il dibattito prendesse questa china: si sono affrontate questioni economiche, FUS, rendicontazione del finanziamento pubblico, le cattive pratiche di eterni workshop mascherati da formazione continua per non dover ammettere che, spesso, il fallimeto, è più del sistema che del singolo.
Era inevitabile, in un parterre comunque ancora formato da appassionatissimi addetti ai lavori, a tal punto famelici di incontro e di confronto, da includere – com’è il caso della Bucci, appunto – queste due ore di scambi mattutini nella materia viva della formazione.
Moltissimi di più, gli spunti e le suggestioni… che certo non mancheranno di essere affrontati, in modo sistematico e tematizzato, nella mattinata di studio di domani. Appuntamento, quindi, domattina alle 10.30, per uno scambio con i critici Andrea Porcheddu, Sergio Lo Gatto, Alessandro Toppi, Francesca Serrazanetti e Francesca Romana Lino, gli artisti, i maestri Elena Bucci, Roberto Latini e Michele Sinisi, il Direttore del Teatro di Sacco Roberto Biselli (ideatore e promotore del Todi Off con Stefania Minciullo), coordinato da Simone Pacini.
Francesca Romana Lino