E siamo all’ultimo articolo del blog relativo alle cinque proposte critiche del Todi Off: ieri, infatti, primo settembre 2017, è andata in scena “Erinni o del rimorso” di Ortika, visione proposta da Francesca Serrazanetti. Se n’è parlato stamattina, insieme ad Alice Conti, in scena con Veronica Lucchesi e coautrice della drammaturgia insieme a Chiara Zingariello, oltre che con Roberto Biselli e col pubblico, tornato, dopo ieri, timidamente più numeroso, ma sempre più incuriosito da questa modalità partecipata di fruire del teatro. Alla consueta domanda di Stefania Minciullo sulle ragioni della sua scelta, la Serrazanetti ha risposto chiamando in causa ragioni solo in parte condivise dai colleghi, che l’anno preceduta. Quindi, sì, un rapido accenno alle risorse economiche messe a disposizione della compagnia, ma, soprattutto, così ha esordito, “perché è uno spettacolo coraggioso”. Infatti, se, da un lato, s’interroga sulle ragioni del proprio fare artistico – livello, questo, più personale e inerente a un momento di auto riflessione artistico-teorica -, dall’altro entra in relazione col contemporaneo, interrogandosi sulla “cosa brutta” – o “il male oscuro”, così lo avevano chiamato in un’altra satgione, scrittori del calibro di Giuseppe Berto. Elemento sicuramente interessante, per la critica, è la complessità di scrittura. La drammaturgia testuale, infatti – dagli imput alti e variegati, capaci di spaziare da Jung a Wallace – si accompagna/declina nell’uso a tutto tondo di voce, corpo, luci e scene. Quel che ne vien fuori è “una bella testimonianza di cosa significhi fare questo mestiere oggi – ha puntualizzato la Serrazanetti -, ma, non di meno, del compito di visione/restituzione, che la critica è chiamata a svolgere”. Se Alice Conti, infatti, ripercorrendo l’iter di formazione dello spettacolo fatto di residenze in spazi teatrali occupati (dalla Cavallerizza di Torino al Teatro Rossi Aperto di Pisa o, ancora, al Caffè della Caduta, sempre a Torino), torna a mettere il dito nell’annosa questione degli spazi e mezzi di produzione, la Serrazanetti non manca di sottolineare l’azione di visione, accompagnamento e dialogo con gli artisti (mentoring?), che, a suo parere, è uno dei compiti della critica al di là della stesura delle singole recensioni, altrimenti destinate a lasciare poca traccia di sé. Così, intercettato nella fase germinale dei primi venti minuti di studio a IT Festival (quinquennale ed effervescente festival milanese, che ha fatto dell’inclusività la propria bandiera), è stato anche grazie a questo scambio dialettico, che Ortika, ha saputo allacciare un dialogo costruttivo con “Stratagemmi” (di cui la Searrazanetti è redattrice e co fondatrice) o con critici quali Renzo Francabandera e Diego Vincenti, curatori della rassegna milanese “HORS”, in cui “Erinni o del rinìmorso” ha poi debuttato.
Ma di cosa parla, “Erinni o del rimorso”? Gettando un sottile parallelo fra le figure mitologiche – loro precipuità era quella di perseguitare chi si macchiava di crimini contro il proprio sangue, inseguendolo e mordendolo fino a fargli perdere il senno – e il rimorso – la radice è la stessa di “morso” e non differente, in effetti, l’attaccamento pertinace nei confronti di chi ne è vittima… fino alla pazzia, nei casi più clamorosi -, la pièce denuncia lo scivolare nella depressione di chi, lasciatosi sopraffare da un desiderio così grande, da spaventarlo, si abbandona alla rinuncia. Ma poi il corpo si ribella: cede all’ansia fino al sopraggiungere del male indicibile. Trattato con ironia e leggerezza – da “Una cosa divertenete che non farò mai più” di Foster Wallace, si chiama in causa una gustosa parodia delle strategie coatching-motivazionali ambientate in una crociera in cui si pratica una surreale rieducazione lisergica, -, l’idea narrativa è che non si può parlare direttamente, di un male tanto subdolo, quanto spaventoso. Ed ecco che Conti-Zingariello lo approcciano di sguincio, creando scene, situazioni ed atmosfere tanto surreali, quanto esilaranti.
Eppure c’è un lungo e faticoso lavoro documentale, alle radici di questa scrittura, che poi trasborda in una massa magmatica e debordante, che, come suggerito da una spettatrice – medico, nella vita – restituisce la bivalenza maniaco (oltre che) depressiva, come viene chiamata la cosa brutta con nome scientifico.
A conclusione di questi cinque cortocircuiti col pubblico, da stasera gli ultimi due spettacoli, scelti da Stefania Minciullo e Roberto Biselli di Teatro di Sacco: “Nessuno può tenere baby in un angolo” di Simone Amendola (alla regia) e Valerio Malorni (in scena) e, domani, e, domani, 3 settembre, “Trattato di economia” di e con Roberto Castello (danzatore di fama internazionale, che ha riadattato il lavoro appositamente per il teatro Nido dell’Aquila) e Andrea Cosentino (attore visionario)
Si conclude così, quest’avventura che, nata come provocazione da alcune riflessioni teoriche di Roberto Biselli sull’attuale sistema teatro (“Ha ancora senso parlare di teatro on e teatro off? E quale, il destino di molti degli spettacoli del cosiddetto teatro off, che deficitando, spesso, in termini di mezzi di produzione e circuiti di distribuzione, rischiano di essere dei bambini morti ovvero sorta di novecenteschi anti eroi, sconfitti già sul nascere?), ha saputo intercettare una nutrita e attenta frangia di pubblico anche di abbonati, che, incuriosito dalla a-convenzionalità delle proposte, ha finito col seguirne gli spettacoli, lasciandosi a tal punto contagiare da partecipare anche agli incontri dell’indomani mattina. Certo, come tutte le start up, i punti di perfettibilità sono molti e non meno gli interrogativi su quali percorsi intraprendere, nell’ipotesi di una nuova edizione – ma, intanto, a fine chiacchierata, qualcuno dal pubblico mormora che sarebbe un peccato, se finisse qui.
Francesca Romana Lino